Quando si dice un pezzo d'uomo, solitamente si vuole evocare la salute, il vigore, la virilità di un uomo nel pieno dei suoi anni migliori: lo si pronuncia con slancio, come ad imitare l'energia che da quell'espressione è descritta.

Nello spirito di "Un pezzo d'uomo", lascerò al mio lettore immaginare in quale altro senso il titolo possa essere considerato. L'approccio narrativo è infatti allusivo: il significato dei fatti si svela gradatamente, con l'intrecciarsi degli stessi ed il racconto di ciò che ne pensano i protagonisti.
L'occasione da cui prende le mosse il romanzo pare casuale, una cornice entro cui tratteggiare molti dei più potenti sentimenti umani che gravitano attorno al nucleo umano più radicato: la famiglia.
La storia in cui veniamo proiettati accoppia fallimenti e menzogna, ricchezza e noia, morte e noncuranza, silenzio e vendetta: l'accoppiamento si sviluppa navigando le contraddizioni che muovono gli eventi e rispetto alle quali ci rendiamo conto ogni sera che un altro giorno è trascorso.
Eppure le contraddizioni non sono assolute, bensì temporanee, perché nonostante tutto arriva il momento in cui i conti sono pareggiati e la contraddizione, pur permanendo con tutto il suo dolente peso, si appiana e si consegna al passato.
Dicevamo che l'occasione da cui si inizia il romanzo pare casuale: uno scrittore in crisi creativa, e non solo, compra i ricordi di una signora, a partire dai quali intesse una storia, in parte riportando in parte inventando. A ben vedere il legame invece è ben presente, strutturale, perché il racconto si snoda nel confronto tra la signora che ha venduto i propri ricordi e lo scrittore, confronto e conflitto tra verità e invenzione: ulteriore contraddizione che muove il romanzo in quanto irrisolta e irresolubile.
In conclusione: un libro da gustare nella sua architettura e, non di meno, nel dedalo di aforismi da cui è disseminato. Uno per tutti: "Ed è qui il problema del male, che è ingannevole quanto la bontà infinita".