domenica 29 novembre 2015

Come postilla...



Come postilla al mio post precedente sul fine dell'uomo, aggiungo l'ultimo movimento del Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra di Johannes Brahms.

Nel movimento conclusivo di quel concerto risuona il concetto di uomo come tensione e contemplazione, quasi fosse l'una l'eco dell'altra.

Il dialogo tra pianoforte e orchestra ha un ritmo pensoso, lacerato a tratti da sovrapposizioni che tendono a flettere, come a meglio definire, scolpendola, la melodia d'insieme.

Il pianoforte è l'arco, l'orchestra la freccia: l'aria che vibra di suoni lo sguardo sull'essere che è l'uomo.

Nel concludersi, a somigliante di eterno, archi e fiati ripropongono, mimandolo, il dialogo, un farsi altro dell'originario discorso: la flessione del flettersi tra pianoforte e orchestra. Là dove cade il velo del tempo: ed è gioia.

I tre tipi di uomo nel pensiero greco ed il suo fine.


Casualmente youtube mi ha proposto di vedere il video con cui si apre il presente post: "una favola di verità" su cui val la pena di soffermarsi per qualche minuto almeno. Poi chissà.

Si tratta di cogliere un messaggio, che la quotidianità offusca e di cui troppo spesso solo la tragedia sa imporre la necessità: noi tutti siamo espressione di una tensione esistenziale.

Non siamo l'arco, non siamo la freccia: siamo la tensione che si accumula nell'arco e scaglia la freccia lontano verso un bersaglio che è l'espressione ultima di quella tensione.

Per completezza solo due parole su ciò che l'arco e la freccia sono: l'orizzonte della tensione, il suo apparire.

Concentriamoci ora unicamente sulla tensione, che è tendenza a flettere e lacerare: siamo la trasformazione che distrugge per creare, non come fine ma come sostanza che ci costituisce.

Dal pensiero greco a noi uomini moderni il messaggio transita nella sua cristallina semplicità, distaccato dai condizionamenti storici: siamo tensione che contiene il bersaglio verso cui la freccia, il nostro apparire, vola.

In quel senso siamo l'inizio e la fine: non movimento né trasformazione, siamo lo sguardo sull'essere. La contemplazione è il nostro fine.


domenica 22 novembre 2015

Noir: il legame tra causalità ed omicidio? La colpa.

La potenza del pensiero razionale si esplica in due atteggiamenti di fondo:

- la creazione di legami tra ambiti che, almeno in prima istanza, appaiono distanti e non correlati,
- la capacità di raccontare i fatti in modo nuovo sulla base degli inediti legami creati e delle ipotesi che ne seguono.

Premetto che la riflessione che intendo qua condividere non ha nessuna radice etica: non intendo cioè dare un giudizio sull’omicidio, bensì proporne un’analisi.

A tal proposito mi riferirò principalmente all’omicidio così come appare nei romanzi noir, in modo che il distacco fornito dalla finzione letteraria consenta quel minimo di serenità che è necessaria in ogni espressione di pensiero, specialmente quando si affrontano temi delicati.

Noir: il legame tra causalità ed omicidio? La colpa.La prima considerazione: nel leggere un romanzo che racconta di un omicidio è impossibile che le intenzioni dell’assassino siano prive di logica. A prescindere da quanto poco condivisibile sia la logica dell’assassino, nondimeno essa sta di fronte al lettore sempre più limpida, pagina dopo pagina.

La seconda considerazione: dal punto di vista di chi osserva l’omicidio, l’atto con cui si spegne una vita si presenta come distruttivo. Per l’assassino la prospettiva è necessariamente diversa: per chi uccide non si tratta di distruggere, o almeno non solo. Se di distruzione si tratta, questo accade per ristabilire un equilibrio che per l’assassino è stato violato.

La terza considerazione: l’assassino agisce guidato da una visione di causalità precisa - la sua logica - tra l’equilibrio da ristabilire e la vittima. Ora: una volta individuato un nesso causa-effetto per cui l’effetto sia qualche cosa di insopportabile, quale meccanismo psicologico riesce a mettere il secondo piano il valore della vita?

La quarta ed ultima considerazione: il valore della vita può essere oscurato solo da un senso di distacco in virtù di un coinvolgimento superiore, che si erge cioè al di sopra della causa e anziché classificarla la giudica. Nel giudizio si fortifica la convinzione della colpa, che alimenta il legame tra causalità ed omicidio.

Il racconto di una colpa non necessariamente è la cronaca di un omicidio, ma il racconto di un omicidio è sempre la cronaca dell’individuazione di una colpa.

I romanzi noir sono il riflesso di un lato profondamente buio della natura umana: le quattro considerazioni di cui sopra possono quindi applicarsi, forse, anche alla vita reale, la quale mostra, a me sembra, che la colpa sia la fonte più letale della volontà di sopprimere vite. La colpa quindi come colpevole fondamentale: il motore dell’assassinio.

domenica 15 novembre 2015

La mano, di Henning Mankell

In onore della recente scomparsa di Henning Mankell, ho letto il suo ultimo romanzo: "La mano".

Si tratta della cronaca di una vendetta, uno dei motori più potenti dell'omicidio. Motore potente di cui qui non mi interessa descrivere lo svilupparsi nella trama del romanzo, bensì solo come colore di fondo per una riflessione.

Iniziamo con il protagonista ed il fatto: il commissario Wallander, che letteralmente inciampa nel cadavere, quindi inciampa nella morte.

La mano, di Henning Mankell
La mano, di Henning Mankell
Wallander, per il suo lavoro, è avvezzo a ricostruire storie a partire da quanto gravita attorno a ciò che resta di una vittima: di mestiere, egli agghinda la morte con storie che, per quanto crude e crudeli e fonte di condanna, restituiscono conforto proprio con ciò che perseguono: l'assassino.

Ed ecco la mia riflessione: la storia che ricostruisce ciò che di un uomo ha fatto un assassino è doppiamente di conforto.

Un conforto emotivo: il colore di fondo, la vendetta, avvicina vittima e carnefice in un intreccio inaccettabile di reciproca ricerca di morte. Si tratta del conforto dell'azione, che scongela di fronte allo sgomento di quell'inattesa eterna assenza.

Ed un secondo conforto razionale: l'assassino si carica completamente del ruolo di causa della morte, dandole un senso. Un senso straziante, ma non di meno un senso a cui si può far riferimento. L'assassino in quanto colpevole incarna ciò che sarebbe altrimenti definitivamente sfuggente: la morte in sé.

"La mano" non è il romanzo giallo migliore che possiate leggere, ma se gli darete modo di svilupparsi, vi dipingerà un'atmosfera di spessa malinconia e adulta consapevolezza: di entrambe è bene leggere.