Tim Cook orgoglioso, durante il keynote
di lunedì scorso (9 marzo 2015),
mostrando il nuovo MacBook tra mille sorrisi dichiara: "Quasi non si
vede!"
Si tratta di una frase emblematica e
problematica.
Se è vero che la tecnologia migliore
non prende spazio per sé ed è trasparente lasciando solo l'evidenza della sua
utilità, è anche vero che assottigliare un notebook fino a rendere la
tastiera "quasi virtuale" - per quanto ne racconta chi già
l'ha provato - pare un esercizio di stile che denuncia più la povertà di idee
che l'abilità pur necessaria a produrre il nuovo gioiello tecno.
Difficilmente qualche millimetro di
spessore in meno del nuovo MacBook può rappresentare un valore per l'utente;
probabilmente qualche etto in meno sarebbe stato molto più utile: un MacBook da
mezzo chilo, per esempio, sarebbe stato concretamente di maggior valore.
Probabilmente si tratta di un risultato ancora fantascientifico.
Ma la questione centrale, secondo me, è
un'altra: far sparire oltre il ragionevole la fisicità dell'hardware è davvero
un'evoluzione?
Sicuramente il nuovo MacBook colpisce a
livello emozionale, ma va oltre? Uno spazio molto marginale è stato dedicato
alle performance del notebook ed uno spazio enorme è stato consacrato a tuonare
quanto sia bello.
Vero: è bello, bellissimo.
Eppure non stiamo parlando di un
oggetto ornamentale, ma di una macchina universale dalla quale ci si aspetta
potenza di calcolo.
Perché le categorie coinvolte nella
presentazione del nuovo MacBook sono quasi esclusivamente emozionali, quasi si
trattasse di un profumo o di un prodotto di oreficeria?
Riassumiamo: l'hardware tende a sparire
e ciò che resta pare concepito unicamente per emozionare.
Facciamo un passo indietro, al 2007,
quando Jobs spiegò che cosa c'era di sbagliato negli smartphone dell'epoca e
propose l'iPhone come soluzione di quell'errore: la tastiera fisica. Il punto
di partenza era allora concreto: prendeva le mosse da una funzione.
Certo: il primo iPhone era anche bello,
ma produrre un oggetto bello, allora, non era considerabile come innovazione.
Non mi si fraintenda: c'è sicuramente
innovazione nei processi produttivi e nella componentistica del nuovo
sottilissimo MacBook.
Eppure non c'è innovazione nelle funzioni,
non si è individuato un errore o una mancanza a cui si pone rimedio con una
soluzione geniale.
Dovremmo quindi pensare che la
tecnologia ha raggiunto una sorta di perfezione che può essere al più limata
ulteriormente, ma non cambiata dal profondo in meglio?
Trovo più ragionevole pensare che
ancora una volta al keynote di lunedì scorso sia mancato quel accadde nel 2007:
individuare una esigenza rispetto alla quale le soluzioni attualmente
disponibili siano almeno in qualche misura sbagliate.
Oppure effettivamente il modo in cui
l'uomo si rapporta alle tecnologie ha raggiunto uno stato di equilibrio...
Ritornando all'iniziale sorriso di Tim
Cook sulla difficoltà di vedere il nuovo MacBook tanto è sottile: si tratta di
un atteggiamento "barocco".