sabato 27 dicembre 2014

Carta


Pagine bianche per comprendere fatti, inventare mondi, creare futuro.

La pagina bianca esprime terrore, perché la creazione è un atto disperato: è la sede in cui il nulla si presenta in tutta la sua fisicità.

Io temo il nulla? 

Il nulla non è il fine, bensì possibilità che si getta addosso a coloro che incontra.

La creazione è al tempo stesso una lotta mortale contro il nulla e generazione di tempo, come una molla che venga caricata e da quel momento, per un tratto, scandisca un ritmo e sia la sede di eventi.

Io temo il nulla?

Il nulla mi costituisce.
Abito il nulla da cui ebbi origine.
Il nulla si svela nella pagina bianca di fronte alla quale sto inerme e al tempo stesso mi accendo come un motore il cui rombo prelude al viaggio.

Ed è fatica: tracciare un segno è assunzione di responsabilità per ciò che è ormai impresso nella materia. Si tratta di proiettare il gesto al di là dell'istantanea intenzione che lo avvia.

Nel nulla abita quindi il motore del permanere.

Io temo il nulla? Io temo la materia di cui sono fatto?

Scrivere è difficile: molta disciplina è necessaria affinché si possano scrivere tutte le parole da cancellare. C'è una sottostima sistematica sia della potenza sia della magia della scrittura: come l'aria non è più visibile. A differenza dell'aria, occorre precisarlo in tutta la sua grandezza, la scrittura non è una mera condizione di vita, un'esigenza fisiologica, ancorché di un organismo che non è biologico, o non solo biologico. 

La scrittura è vita a sé. Per questo la sua possibilità, la pagina bianca, si presenta con le terribili fattezze del nulla.

Quanto la scrittura è connaturata alla materia? Scrivere su un tronco d'albero, scrivere su un papiro, scrivere su un monitor, scrivere sulla sabbia: si tratta della medesima azione?

Evidentemente no. L'incontro con la materia che accoglie lo scritto ne completa inevitabilmente la consistenza al di là dell'informazione tracciata che, altrettanto evidentemente, non muta con la materia su cui è tracciata.

giovedì 25 dicembre 2014

iPad verso l'estinzione

L'iPad nacque, per definizione enunciata da Jobs, per essere un dispositivo non universale bensì dedicato ad una specifica esperienza d'uso: "internet in your hands".Il confronto con i netbook, economici ma praticamente inutili a causa di dimensioni e scarsa qualità dell'hardware, vide da subito l'iPad vincente: pur avendo un sistema operativo meno versatile rispetto ad un OS desktop, la tavoletta Apple era nettamente superiore nell'esperienza d'uso, per cui fu concepito, ristretta alla gestione delle email, fruizione di contenuti web e multimediali e gioco.
Elemento ulteriormente vincente fu sin da subito l'AppStore che, esplorando estensivamente le possibilità offerte dall'iPad, pur costrette nei suoi limiti strutturali, ne hanno amplificato l'utilità e il fascino.
I tablet Android hanno inseguito, senza però neanche lontanamente avvicinarsi al successo dell'iPad: ne condividevano i limiti, ma non le potenzialità di un AppStore dedicato e la novità. Essendo nati perdenti e confermati nella loro irrilevanza tecnologica, per quanto commercialmente possa parlarsi di un moderato successo, non li considereremo oltre.
L'iPad fu svelato al mondo il 27 gennaio del 2010 e la presentazione di Jobs fu chiara: l'iPad è eccellente in alcuni ambiti, nei quali offre un'esperienza d'uso migliore sia di uno smarphone sia di un laptop: web, email, calendario, foto, video.
Non si tratttava quindi di una "macchina universale", bensì di un "feature device" in grado di assolvere nel modo migliore alcuni compiti ben individuati.
Poi avvenne l'implicita e non dichiarata trasformazione delle aspettative: la versatilità e la numerosità delle applicazioni disponibili nell'AppStore fecero via via dimenticare la natura originaria dell'iPad. Si andò verso la percezione della macchina universale, di ciò che in realtà appannaggio dei computer, siano essi desktop o laptop. Si insinuò il dubbio: può l'iPad sostituire il laptop in mobilità? Considerando la scelta enorme di applicazioni, anche con velleità professionali, e la comodità del portarsi nello zainetto l'iPad, chiaramente la risposta che si fece largo fu positiva.
Occorre essere onesti: Apple non ha mai favorito esplicitamente questo esito di utilizzo dell'iPad, pur non avendolo negato, ovviamente. Ciò che Apple pensa di iPad in termini di universalità di utilizzo è dichiarato dall'ostinata divergenza tra iOS e OSX, ostinata e incomprensibile se si pensa all'assenza di un vero multitasking in iOS, pur là dove l'hardware non avrebbe problemi a supportarlo.
Con l'iOS montato su iPad Air 2, Apple è stata ancora una volta chiara: la macchina universale in mobilità è e resta il Macbook Air, da 11 o 13 pollici a seconda delle esigenze. iPad è un "feature device", per quanto ricco: così tuona ammiccante Apple in ogni keynote, dal 2010 ad oggi (2014).
D'altra parte, montare OSX su iPad equivarrebbe ad una mossa svantaggiosa dal punto di vista commerciale: se iPad si presentasse come, per fare un esempio, Surface, quanti Macbook Air da 11 pollici in meno sarebbero venduti? Osservandone la strategia, pare che Apple risponda a questa domanda con: molti, troppi. Ecco quindi che iOS e OSX non convergono, obbligando il fedele utente Apple ad avere e soprattutto comprare e portare con sé due device anziché un solo dispositivo.
Quasi cinque anni dopo la comparsa del primo iPad, la detonazione della presunta era post-computing ha esaurito la propria spinta propulsiva: i tablet, e l'iPad in primis, subiscono un significativo arresto nella lotta per il dominio di internet. Come già accadde in passati più o meno remoti, gli esseri più piccoli stanno avendo la meglio: gli smartphones. E si affacciano gli ibridi, evidenti prodotti dell'adattamento: i Surface e simili.