giovedì 30 luglio 2015

"Fake - Falsi profili", di Adriana Merenda

Leggere "Fake - Falsi profili" catapulta sia in un mondo di esagerazioni adolescenziali sia in un quesito esistenziale valido in qualunque età: se avessimo quella libertà a cui ogni giorno agogniamo lamentandoci di non averla, staremmo meglio?

"Fake - Falsi profili", di Adriana Merenda
"Fake - Falsi profili", di Adriana Merenda
Le esagerazioni adolescenziali sono il paesaggio in cui si muove quel quesito e ci raccontano quei momenti più o meno lontani nel tempo, in base al calendario ed alla propria effettiva crescita emotiva, in cui volevamo spaccare il mondo.

L'ingresso nell'età che volta le spalle all'infanzia, e ci fa vedere gli altri non più come compagni di giochi, ma come occasioni di affermare i nostri valori, è infatti conflittuale. Come se non si potesse accedere al mondo adulto senza prima almeno tentare di ucciderlo.

Marcella, la protagonista adolescente che sta abbattendo la "prigione" della quotidianità familiare e scolastica in cui si sente soffocare, ci racconta la fatica dell'età della formazione ed è un limpido punto di vista da cui si vedono i colori autentici della libertà così desiderata.

Lo svolgersi degli eventi porta il lettore a constatare che il senso di libertà è tanto effimero quanto potente: una volta cambiata la sim, persa la possibilità di accedere a Internet, fatte perdere le tracce di sé si apre il travaglio che partorisce nuove relazioni. Simili alle precedenti, ma più nostre, più vere, più "casa" e meno "prigione".

Terminata la lettura di "Fake - Falsi profili" resta quindi una consapevolezza: è libertà quel confine, non più prigione, che porta infine il nostro nome.

Se non lo scrivi non esiste

Com’è quella storia? “Se non lo scrivi non esiste”.

Frasetta semplice che contiene più verità di quanta non risulti in apparenza, leggendola o ascoltandola distrattamente.

Consideriamo, per esempio, il ragazzo che guarda il lucchetto che tiene chiusa la porta di casa, senza avere la forza e la volontà di aprirlo ed entrare. O di andarsene, in alternativa.

Tra sé pensa: ho la chiave in tasca. Basta infilarvi la mano, afferrarla e usarla. Anche se… be’, affondando la chiave nella tasca potrei scoprire di averla persa e sarei nei guai: chiuso fuori di casa per sempre.

E’ una situazione stancante.

Tra l’altro le nuvole si stanno addensando in cielo, con promessa di pioggia.

Ed un vicino di casa, dal balcone, osserva perplesso e con sospetto.

Mentre il lucchetto è lì, immoto e cocciuto.

La tasca è a portata di mano: un gesto veloce, anche distratto, sarebbe sufficiente a riavviare la bobina della vita, che si è arrestata di fronte a quel lucchetto chiuso, come in un riposante e straniero annullamento del tempo.

Sempre sperando che la chiave sia effettivamente in tasca: le tasche hanno la loro vita, non le controlli mai completamente e possono sorprendere quando rivelano il loro contenuto.

Il ragazzo che guarda il lucchetto pensa: mi sono avvitato in un eterno di indecisione, come ne esco?

Il primo tuono, accompagnato da una folata umida e fredda, produce una crepa in quell’eterno strano che ha fermato tutto.

Il ragazzo non guarda più il lucchetto e prende a frugare tra nelle tasche, nella borsa, nello zaino: ma non cerca la chiave.

Cerca e infine li trova: un block notes, sgualcito, ed una matita, con la punta mezza rotta.

Sfoglia fino alla prima pagina bianca e scrive: “Non posso non dirglielo”.

Quella doppia negazione ad affermare l’esigenza di una comunicazione importante, appena scritta, lacera ogni sospensione di vita: ormai è scritto.

Le prime gocce di pioggia, ma senza seguito: il temporale si ritira, come sconfitto prima della battaglia.

“Non posso non dirglielo”: ormai è scritto.


Il ragazzo libera la porta dal lucchetto e riapre al fluire del tempo.

domenica 26 luglio 2015

"La vita è sogno", di Pedro Calderon de la Barca

Come sono arrivato al diciassettesimo secolo ed ho incontrato uno scritto di Pedro Calderon del la Barca? Semplice: tramite il dialogo che da sempre i libri intessono tra loro, citandosi: in "Colomba", di Dacia Maraini, Zaira è traduttrice e tra i lavori che affronta c'è la traduzione di "La vita è sogno". E non solo, ma non è questa la sede per rivelazioni inopportune sul romanzo di Dacia Maraini.

Quando un libro me ne indica un altro e lo indica con partecipazione, mostrando che di quell'altro testo porta i segni e la matrice, non resisto: devo conoscerlo. Eccomi quindi a raccontare la mia esperienza di "La vita è sogno".

Anzitutto non si tratta di un romanzo, bensì di un dramma filosofico-teologico.

E' possibile opporsi ad un destino già scritto e noto, in quanto rivelato dalle arti divinatorie? Gli eventi che si svolgono nel dramma rispondono, con disperazione e forza, a questa domanda.

Orgoglio, ferocia, dispotismo: questo il destino contro cui opporsi e a cui dare, pur con l'inganno di un finto sogno, la possibilità di manifestarsi con più nobili sembianze.

Ma si tratta anche di un padre, Basilio, il Re di Polonia, che priva il figlio, Sigismondo, della libertà e, in definitiva, della vita. La responsabilità di un Re che pone il proprio popolo al di sopra del naturale amore per il figlio: "Oh principe sventurato, nato in un triste frangente!"

Il parto da cui nasce Sigismondo uccide la madre e quando viene liberato dai suoi ceppi, che ne incatenano il destino, ancora Sigismondo uccide e vuole uccidere ancora. "Cos'è la vita? Delirio." Eppure in quella nebbia di odio attecchisce l'amore per una donna e vi permane, pur se sbiadito.

Ma l'ingannato destino trova comunque una via per realizzarsi: "Destino, andiamo a regnare: e non svegliarmi se dormo; e s'è realtà, tiemmi sveglio". Così Sigismondo, liberato dai ceppi dal popolo che ne invoca il comando, contro il Re, contro il padre, che si arma a sua volta contro il figlio: "dove la scienza errò, vinca l'acciaio".

L'inverso che caratterizza il dramma si fa storia e Basilio l'affronta: "Se Dio ha scritto ch'io muoia, o se la morte mi aspetta, oggi la voglio affrontare e guardarla dritto in faccia".

E ancora una volta tutto muta, come da sogno a veglia pur restando nel sogno. Forse.



sabato 25 luglio 2015

"Colomba", di Dacia Maraini - Seconda parte

"Ti prego, raccontami una storia! Solo le storie fermano il tempo": una storia, le storie che sono come grotte all'interno delle quali se ne aprono altre, a volte più grandi, a volte minuscole - la storia, quella con la s minuscola che intride l'altra, quella dei libri di Storia, è la protagonista di "Colomba".

"Colomba", di Dacia Maraini
"Colomba", di Dacia Maraini
Il racconto delle storie appare come la struttura del mondo, ciò che rende gli eventi umani, accogliendo speranze, rancori, dimenticanze e perdite. La narrazione è al tempo stesso la misura dello scorrere del tempo ed il farsi eterno degli accadimenti: questa contraddizione si presenta piuttosto come un dialogo tra punti di vista, come chi sta in basso chiama "salita" una pendenza, mentre chi sta in alto, con altrettanta ragione, la chiama "discesa".

E la ricerca, paziente e tenace: la ricerca è l'altra grande protagonista che plasma i giorni di Zaira, nonna alla ricerca della nipote Colomba, scomparsa nel nulla e senza apparente ragione.

Da notare è lo spirito con cui Zaira affronta la ricerca di Colomba, che ha un tratto molto deciso e per nulla scontato: non vi è mai disperazione, nonostante i momenti di sconforto. Colpisce come vagando nei boschi sulle tracce della nipote probabilmente morta, come tutti credono, Zaira rimanga sensibile alla bellezza della natura: "La bellezza può consolare di ogni perdita, si dice, dimenticando di masticare il pezzo di pane che ha in bocca".

In conclusione, "Colomba" è un romanzo che mima il modo che ha la vita di educarci: schiaffeggiandoci, dandoci respiro e di nuovo colpendoci e lasciandoci talvolta meravigliati e immemori di noi dinnanzi alla sua bellezza.

"Colomba", di Dacia Maraini - Prima parte

domenica 19 luglio 2015

"Colomba", di Dacia Maraini - Prima parte

"Colomba", di Dacia Maraini, è il primo libro, che leggo da un anno a questa parte, il cui respiro ampio richiede di dilazionare il racconto delle sensazioni che suscita.

Accade cioè che questo romanzo, nel narrare una storia particolare, vada oltre la storia stessa narrata e faccia un balzo nell'universale. Attraverso la sparizione.

"Colomba", di Dacia Maraini
"Colomba", di Dacia Maraini
"In foresta si è soli ma mai veramente soli, dice un poeta giapponese, c'è ovunque un occhio che spia": la foresta come stare fuori e simultaneamente come luogo dell'incontro con il mistero tratteggia la struttura di "Colomba".

I personaggi attraversano la storia d'Italia, a cominciare dagli ultimi anni dell'Ottocento e nelle loro vite, così determinate geograficamente e culturalmente, si specchiano le vicende di milioni di persone, che non sono solo un gran numero, ma incarnano l'anima di un popolo. Ecco il balzo nell'universale.

La foresta è una sorta di matrice del mondo, perché nel misterioso star fuori che è la foresta troviamo un potente motore della vita: la mancanza. Il mistero è mancanza di spiegazione, la consapevolezza di ciò che abbiamo perso, che è sparito da sempre e la cui sparizione si manifesta imprevista e destabilizzante.

La sparizione di Colomba dà l'avvio alla narrazione: da questa improvvisa misteriosa mancanza esplode come un fuoco d'artificio in mille rivoli il racconto della famiglia da cui Colomba ha origine, un intreccio di destini che "Impastano il pane del tempo".

Chiudo la prima parte dei miei pensieri su "Colomba" dandovi appuntamento al seguito che ne verrà e citando la poesia con cui Dacia Maraini con un tratto disegna l'instabile infida affascinante bellezza della gioventù: "La primavera stessa sembra illuminargli il viso".

"Colomba", di Dacia Maraini - Seconda parte

lunedì 13 luglio 2015

"L'elefante scomparso e altri racconti", di Murakami Haruki

"Quand'è stata la prima volta che ho incontrato un cinese?" Così s'inizia il primo racconto, con una domanda il cui senso è evidentemente nullo, ma da cui prende vita una storia.

Murakami Haruki narratore è il primo ad evidenziare e stupirsi dei non sensi che danno vita agli eventi che racconta; ed è anche il primo ad arrendersi all'impossibilità di darne una soluzione che ci riconcili con l'esperienza di tutti i giorni.
"L'elefante scomparso e altri racconti",  di Murakami Haruki
"L'elefante scomparso e altri racconti",
di Murakami Haruki

Pensiamo al racconto che dà il titolo al libro, "L'elefante scomparso": vi si tratta di un evento raro, se non impossibile, per cui viene proposta una spiegazione inverosimile, a detta dello stesso personaggio nei cui pensieri prende forma.

Come appare evidente dalle poche frasi che ho scritto finora, raccontare Murakami Haruki è di fatto una mala azione, dal momento che non si riesce, se non aggiungendovi ciò che probabilmente non c'è, a restituirne l'atmosfera.

Un'atmosfera sospesa, a metà tra il puro pensiero ed il sesso, in cui il silenzio è materia. I personaggi si muovono attraverso vicende che sono spesso solitudini di coppia, in un incedere del tempo che pare ondivago, né lineare né circolare.

Inoltrarsi nei diciassette racconti che compongono il libro significa affacciarsi sull'intera opera di Murakami Haruki, come se fosse vista dall'alto, a volo d'uccello.

E pur da quell'altitudine, perdendo cioè molti dei dettagli che si trovano nei numerosi romanzi, rimaniamo avvolti nella medesima affascinante atmosfera ai confini del nulla, in cui ritroviamo spesso una parte di noi che avevamo smarrito.

lunedì 6 luglio 2015

Raggiunte le 1000 visualizzazioni!

Cari lettori,

Semplicemente grazie dei minuti che avete dedicato a leggere i miei pensieri, regalando al mio piccolo blog il primo risultato delle 1000 visualizzazioni. Un piccolissimo traguardo, è vero, ma "Unendo tante ragnatele si può catturare un leone"!

Luca

"Il monaco che vendette la sua Ferrari”, di Robin S. Sharma

Un’immersione in verità luminose e difficili che ci sono note da sempre: “Il monaco che vendette la sua Ferrari” ci prende per mano e ci spinge e riconsiderare ciò che siamo e la ragione per cui siamo.

"Il monaco che vendette la sua Ferrari”, di Robin S. Sharma
"Il monaco che vendette la sua Ferrari”,
di Robin S. Sharma
La semplicità è maestra e proprio in quanto tale viene rifiutata quando non è rafforzata dalla disciplina, dal silenzio e dalla concentrazione. Si tratta di esperienze che il mondo occidentale tende progressivamente ad isolare e dimenticare: il protagonista, ex-avvocato famoso e ricchissimo, deve recarsi lontanissimo dal suo mondo per rigenerarsi e ritornare colmo di concreta saggezza.

La narrazione si innesta su un racconto mistico, in cui ogni elemento è figura di un fondamento della vita e ci conduce al cuore della questione: sviluppare la capacità di distinguere tra ciò che è urgente da ciò che è importante. E scegliere ciò che è importante, perché, di ciò che è urgente, probabilmente resterà ben poco.

Leggendo questa favola, colma di buon senso, vien voglia di sottolineare moltissimo, per tenere a mente, per ritrovare rileggendo i molti passaggi che ci toccano con semplicità e potenza. Uno su tutti: “Unendo tante ragnatele si può catturare un leone”.

Ho scelto di citare quella frase perché rappresenta, secondo me, la cifra del libro, che invita a realizzarsi pienamente a piccoli passi, senza l'urgenza di giungere al risultato; il protagonista racconta infatti: "Ero stanco di vivere come se mi esercitassi ad un allarme aereo". Quanti si possono riconoscere in questo tipo di stanchezza? Io ammetto di aver provato sollievo a leggerlo, come se mi fossi liberato di un po' della mia ansia quotidiana.

Eppure potrebbe essere tutto molto più semplice. Basterebbe poco. Sharma, par di vederne il sorriso, non si stanca di ripeterci: "Per assurdo, meno ti soffermi sull'obiettivo finale e prima ci arriverai".