domenica 27 settembre 2015

Dimmi la verità, di Adam Rossi

Adam Rossi ci racconta una vicenda improbabile, ma ben possibile, in cui si evidenzia come siamo ingenui a supporre che di passato, presente e futuro si abbia sempre esperienza in quell'ordine.

Questo romanzo mi ha evocato ciò che canta Battiato in Eri con me: "Ciò che deve accadere accadrà perché è già accaduto". Si tratta di una proprietà dell'esperienza strana e difficile da accettare e che tendiamo a dimenticare, specialmente nel momento in cui per vigliaccheria o debolezza scegliamo la via più comoda per affrontare, o non affrontare, i problemi.
Dimmi la verità, di Adam Rosssi
Dimmi la verità, di Adam Rosssi

Bernardo, il protagonista di "Dimmi la verità", si trova in quella situazione, in cui il quieto vivere si presenta come valore assoluto, per sé e per chi si ama, tanto da non esitare a mettere la testa sotto la sabbia e violare, per negligenza, un diritto altrettanto assoluto: ed ecco che il male fatto nel passato si avvita al futuro.

Ed emerge nel terribile presente di Bernardo, in una forma cieca di vendetta inevitabile: "Non mi fa sentire bene averlo ucciso, ma era giusto così". Così il futuro avvitato al passato esplode nel presente.

Bernardo è un uomo buono, colpevole di una debolezza imperdonabile: è una contraddizione etica che solo la morte sembra poter sanare, ripristinando, su una scia di sangue, l'ordine di passato, presente e futuro.

D'altra parte anche nella rovina di chi sarà la mano armata della morte c'è spazio per sentimenti autentici di amicizia e lealtà, a mostrarci come sempre che la contrapposizione è il motore degli eventi e che non esiste un "cattivo assoluto", ma spesso solo una persona che soffre oltre la sua capacità di soffrire.

La trama, di cui qui non posso accennare nulla senza rovinarvi la lettura, sorprende man mano che si esplica e non delude fino alle ultime pagine, che tingono ancora più di nero il potere dell'egoismo e, in ultima analisi, la capacità limitatissima che gli uomini hanno guardare dritto negli occhi il male.

domenica 20 settembre 2015

I milanesi ammazzano al sabato, di Giorgio Scerbanenco

I milanesi ammazzano al sabato, di Giorgio Scerbanenco
I milanesi ammazzano al sabato,
di Giorgio Scerbanenco
Dopo la breve raccolta "Un treno per l'inferno e altri racconti" recensita lo scorso agosto, torno a raccontare la narrativa di di Giorgio Scerbanenco, di cui mi ha nuovamente colpito la forza evocativa.

"C'era da piangere a pensare allo scempio che lei faceva di se stessa, ma le vie della vita quasi sempre erano spinose e stupide": il narratore sta parlando della prostituta che aiuta il commissario Duca Lamberti nell'indagine di un omicidio terribilmente odioso.

Con quelle poche parole Scerbanenco magistralmente e completamente disegna i sentimenti del commissario, le ferite del suo passato - di cui in questo romanzo si fanno solo alcuni incompleti e allusivi cenni: il suo dolore.

Il dolore è infatti l'evento chiave, l'esperienza in primo piano che evidenzia i contorni del romanzo e rispetto alla quale si staglia l'atteggiamento di fondo di Duca Lamberti: un ringhiare profondo e disperato.

Ed il ringhio fa da paesaggio sonoro alla vicenda di Amanzio Berzaghi: il padre della vittima.

"Guai a coloro che offendono un uomo mite": il controcanto del commissario è l'impetuosa, non premeditata ed inevitabile vendetta di un padre, già crudelmente provato dalla vita, a cui uccidono la figlia, brutalmente, dopo averne sfruttato le miserabili debolezze.

Scerbanenco ci apre lo sguardo su di un male assoluto, che non si presenta nella spettacolare lotta tra il diavolo ed un esorcista, ma nella vita già tormentata e silenziosa di un uomo comune: un male che tanto più dilania quanto più si ammanta di quotidianità.

La narrazione ci avvolge e, pur nella consapevolezza di come sia inevitabile trovare e punire gli assassini, "Perché i criminali non sono mai intelligenti", ci lascia nudi di fronte all'unica vincitrice: la morte.

La morte come spartiacque tra l'abisso ed un domani che comunque si fa innanzi, con la sua necessaria dose di speranza, che pure nasce dal dolore.

domenica 13 settembre 2015

Quello che non uccide, di David Lagercrantz

Con quale spirito si inizia la lettura del seguito di un capolavoro del thriller - già essendo un tale seguito rischioso - consapevoli di leggere un altro scrittore?

Come spesso capita nelle cose umane, si è avvolti da un insieme incoerente di sensazioni: aspettativa e scetticismo, curiosità e disillusione, attesa e frustrazione, fantasia e delusione. Insomma: con il timore ed il desiderio di trovarsi di fronte ad un prodotto commerciale, privo della tensione dell'originaria trilogia Millennium.

"Was mich nicht umbringt, macht mich starker. Quello che non uccide, fortifica." Questo il leitmotif del romanzo.

Quello che non uccide, di David Lagercrantz
Quello che non uccide,
di David Lagercrantz
Ma iniziamo con l'autore e le sue opere precedenti: la più celebre, la biografia di Zlatan Ibrahimovic, senza dimenticare la meno celebre biografia di Alan Turing. Lo scenario è una carriera da giornalista, per molto tempo di cronaca nera.

Interessante è leggere direttamente le parole di Lagercrantz in questa intervista rilasciata a linkiesta.it: intervista a David Lagercrantz.

Affascinante la segretezza nella quale il romanzo è stato concepito, scritto utilizzando un computer mai connesso a internet, temendo gli hacker ed i cracker, le trasposizioni nella vita reale di Lisbeth Salander e delle vicende che la travolgono.

Incalzante il ritmo ed avvincente la narrazione.

Tuttavia - lo dico da grande appassionato di Millennium, dei primi tre volumi di Millennium - la trama mi ha profondamente deluso: troppo elementare, prevedibile, non regge il confronto con il grandioso affresco che Larsson seppe creare.

Ovviamente non posso qua argomentare questa mia delusa sensazione, ma spendo ancora qualche parola per raccontare quale pensiero ne è derivato: la necessità di accettare che la morte di Larsson chiude la vicenda di Millennium e l'impossibilità di leggere il vero, autentico Millennium 4.

In fondo il tentavo di Lagercrantz è il tentativo, in veste letteraria, che l'uomo da sempre persegue, fallendo: arginare il silenzio che segue la morte. 

domenica 6 settembre 2015

Niente, di Janne Teller

"Niente" è un romanzo squisitamente filosofico.

Filosofia pratica: tutto è azione e reazione di fronte all'esigenza di senso quando questo viene negato, con argomentazioni logiche.

"Perché non ammettere da subito che niente ha senso,e poi godersi in pace quel niente?" Così Pierre Anthon lancia il suo guanto di sfida, appollaiandosi sull'albero di susine dopo essersi allontanato, come un asceta, dall'aula di scuola in cui sta per iniziare la lezione.


"Niente", di Janne Teller
"Niente", di Janne Teller
Sì: Pierre Anthon è poco più che bambino, da poco adolescente. E per questo il suo messaggio è tanto più incisivo.

La risposta dei suoi compagni di classe, incorniciata da una singolare assenza di qualsiasi intervento dal mondo adulto, se non estremamente tardivo, è raccontata da una di loro: Agnes.

Si tratta della tipica risposta dei mediocri di fronte alla potenza della logica negante i loro valori: un intreccio di violenza e crudeltà, entrambe ingenue.

I ragazzi sfidano la sfida di Pierre Anthon mettendo insieme la "catasta del significato", accatastando cioè, in un crescendo di perfidia e sangue, ciò che per ciascuno di loro ha più valore.

Molte delle dinamiche umane sono descritte con impietosa lucidità, suggerendo, secondo me, che l'affermazione violenta del significato della vita è la prova insanguinata dell'assenza di quello stesso preteso significato.

Voltata l'ultima pagina, con ancora in mente alcune scene cruente, si hai infine il sentimento della liberazione: liberazione dalla più inutile delle meschine guerre, quella concepita per imporre un significato, il significato.

"Niente" non termina, infatti, con l'ultima pagina: "Niente" è il disvelarsi della nostra ombra.

mercoledì 2 settembre 2015

Elementare primordiale: V, di Zeno

Disperso nel fiato del tempo
fra filosofia e amore
vibra l'istinto a cercarsi.

È il ruzzolare assetato verso
l'amore d'una donna
il conforto d'un'idea
l'abbraccio d'un amico
il ristoro del sonno.

È l'istinto che intreccia le storie
con parole e con i sensi
e sa trasmutare un odore
nella voglia intimamente d'accogliersi
e così stretti unirsi infine
sparpagliandosi.


Elementare primordiale: IV, di Zeno

The Golem and the Jinni, by Helene Wecker (Punto's feeling)

Italian version

At the beginning of The Golem and the Jinni a new window opened in front of me and beyond that I enjoyed a fantastic sight: two merged worlds, one against the other in the modern age, but strongly related each other.

Reading the book I encountered thrice that interlacement, and for sure it was not accidental: first, the authoress life, since Helene Wecker is jewish and she married an arabic american; second, in the fantastic adventures of the two protagonists, supernatural creatures, one jewish and the other arabic; third, after investigating the origin of the two cultures interlacement, starting with Abraham and his two sons: Ishmael, son of the slave Hagar, and Isaac, son of Sarah his wife, the one considered the father of the arabic religion, the other of the jewish one.
Il genio e il golem, di Helene Wecker
Il genio e il golem,
di Helene Wecker

I think the authoress did not want to set them against, but I felt exactly the opposite. By a compelling narrative, 592 pages that you will not stop to read, two worlds, apparently conflicting, attract each other, as the two opposite poles of a magnet.

The Golem is control and will, strength and exertion; the Jinni is unruliness and talent, the readiness of the tightrope walker who never loses his balance, even though he risks in each instant the fall but he smiles, without fear, winking to the public.

But both are looking for the same thing.


I think it is wrong to call it the american dream, either because it is a too modern idea, or perhaps because in my opinion the search for freedom is no more something american, since a while. I rather believe that the freedom that our heroes are looking for is to be free to be what they are, the one with the bravado typical of awareness, the other with the timid prudence of those who still failed to know herself.

The Golem is a just born creature, so she must work to know herself and the world around her, facing big difficulties, but that search is an hard work also for a millenary creature, the Jinni, when the environment changes so much that disorients even the most experienced acrobats.

At the end this is the challenge that each of us must face every day: while the world quickly evolves, more than we are aware, we need to preserve the equilibrium, measure the strengths with timid prudence and smiling overcome our weaknesses...

Punto


Ps: thanks to Punto that described her feelings about the Golem and the Jinni and then gave to this blog, enriching it, a point of of view different from mine.

Italian version