domenica 30 agosto 2015

Il genio e il golem, di Helene Wecker (sensazioni di Punto)

Versione inglese

Appena iniziata la lettura de Il genio e il golem, è come se si fosse dischiusa una finestra davanti a me, al di là della quale ho goduto di scenari fantastici, la fusione di due mondi contrapposti nella realtà moderna, ma che da sempre sono intrecciati saldamente l’uno all’altro.

Ho rivisto questo intreccio tre volte durante la lettura del libro, di sicuro non casualmente: la prima, nella vita dell’autrice, quando ho scoperto che Helene Wecker è ebrea ed ha sposato un arabo americano; la seconda, leggendo le fantastiche avventure dei due protagonisti, due soprannaturali creature: l’una ebraica, l’altro arabo per l’appunto; la terza, dopo aver ricercato il nodo primordiale dell’intreccio tra le due culture, a partire da Abramo e i suoi due figli: Ismaele, figlio della schiava Agar, e Isacco, figlio della moglie Sara, l’uno ritenuto il padre della religione araba, l’altro dell’ebrea.

Il genio e il golem, di Helene Wecker
Il genio e il golem,
di Helene Wecker

Non credo che il contrapporre fosse nelle intenzioni dell’autrice, anzi, quello che ho percepito durante la lettura è stato l’esatto opposto. Attraverso una narrazione avvincente, 592 pagine in pochi bocconi, due mondi, in apparenza in antitesi, si attraggono fortemente, come i due poli opposti di un magnete.


La golem è il controllo e la determinazione, la forza e l’esercizio; il genio è sregolatezza e talento, la prontezza del funambolo che non perde mai l’equilibrio, anzi, sebbene rischi in ogni instante la caduta sorride sicuro ammiccando al pubblico.

Ma entrambi cercano la stessa cosa.


Penso che sia erroneo definirlo sogno americano, forse per la modernità dell’espressione, o forse perché nella mia opinione la ricerca della libertà ha perso il brevetto americano da un po’ di  tempo ormai. Io credo piuttosto che la libertà che i nostri eroi cerchino, sia quella di esprimere liberamente la propria natura, l’uno con la spavalderia tipica della consapevolezza, l’altra con la timida prudenza di chi ancora non è riuscito a conoscere se stesso.


Per una nuova creatura quale la golem questo percorso è una sorta di passaggio obbligato: la conoscenza di se stessi e del mondo che ci circonda comporta difficoltà non indifferenti, ma questa ricerca diventa ardua anche per una creatura millenaria come il genio, quando il contesto in cui vive è così cambiato da disorientare persino il più esperto degli equilibristi.


In fondo questa è la sfida che ognuno di noi deve affrontare ogni giorno: mentre il mondo si evolve più velocemente di quanto noi possiamo accorgerci, dobbiamo restare in equilibrio, dosare le forze con timida prudenza e sorridere sicuri superando le nostre debolezze…


Punto

Ps. Grazie a Punto, che con queste sensazioni su Il genio e il golem ha donato un punto di vista diverso dal mio al blog, arricchendolo.

Versione inglese

mercoledì 26 agosto 2015

Elementare primordiale: IV, di Zeno

Il respiro del mondo
si svelò di notte
nell'ariosa dimora
d'un uomo solo.

Doveva accadere nell'ora
che ha il buio più strano
il buio sospeso tra l'alba e la notte
ed estraneo ad entrambe,
quando il tempo trattiene il fiato.

Vegliava allora l'uomo solo
come smarrito alla finestra
tra le stelle ed il blu scuro.

In quel silenzio terso
prese lentamente a risuonare potente
l'alternarsi vivo del suo respiro
sensuale come un velo
necessario come un lavorio nascosto.

Nell'uomo solo
s'incise la natura
di sospiro del mondo:
egli lacrimò esaltato di sapersi
disperso nel fiato del tempo.

Zeno

Elementare primordiale: III, di Zeno
Elementare primordiale: V, di Zeno

Elementare primordiale: III, di Zeno

Dell'odore latteo che ha la tenerezza
è impastata la poesia
come la donna feconda
nel letto del parto.

Ed anche attrice è la poesia,
un discorso di sguardi
che sono squarci di amplessi
tra la vita e la morte:
quando un vecchio ricorda
o una giovane freme
là v'è poesia
recitante se stessa
nel teatro dei corpi.

Ma la poesia è soprattutto fatta
di silenzi soffiati a pelle,
un richiamo dei sensi
inebriati dal suo latte intenso

quel latte stesso che nel circolo dei giorni
cola a tessere materno
il respiro del mondo.

Zeno

Elementare primordiale: II
Elementare primordiale: IV

martedì 25 agosto 2015

Elementare primordiale: II, di Zeno

Nel tramonto disciolto
fra gli abbagli del vetro
ondeggia i capelli
il vento in lontananza
d'una donna ravvolta in vapori già notturni.

La osservo istantaneo dal treno
tigre femmina eretta sugli scogli
persi gli occhi fra altalene di materia marina.

L'osservo che rapida e molle si curva
poi si china e siede
e mentre le gambe raccoglie
in un tiepido abbraccio,
l'intima scena
- il mare la donna la notte che sorge -
svanisce nel buio
schiaffeggiata
dall'ingresso in galleria,
scomposta
nell'impressione primordiale
dell'odore latteo che ha la tenerezza.

Zeno

Elementare primordiale: I, di Zeno
Elementare primordiale: III, di Zeno

Elementare primordiale: I, di Zeno

Un vecchio antico
colora come un'ombra
l'andare calmo dei passanti.
Lo riga la gran fatica dei ricordi
così che sembra
un torrente ghiacciato
in un bosco d'inverno.

Il vecchio indugia
al sole e al fluire dei passi:
egli ascolta gli dei
gli dei che gli brillano dentro
come all'alba la neve sui pini.

Tanti anni ha trascorso,
quasi fossero fiato nel freddo,
ed ora:
una panchina
con lui assorto nei passati remoti
fra la gente a passeggio
nel tramonto disciolto.

Zeno

Elementare primordiale: Prologo
Elementare primordiale: II

lunedì 24 agosto 2015

Elementare primordiale: Prologo, di Zeno

Scrivere: è il dovere che erompe dalle mie viscere. Se la parola non è la cifra del mondo, certamente l'evocazione è la cifra del mondo. E scrivere è un esercizio di evocazione.

C'è tanto di nascosto dentro l'uomo, che deve essere detto, perché cova in noi: ed io non so dirlo. La poesia è però capace - confido in essa - di traguardare la suggestione del poeta, di cogliere più di quanto le parole maldestramente ammonticchiate ripetano. La poesia evoca.

Poi il silenzio. Silenzio dentro, come un'oscurità feconda. Da anni ormai non ho il dono di un silenzio; ho il terrore di non saper un giorno più distinguere il rumore. Allora chiudo tutto il silenzio che in me matura nei versi.

E con il silenzio la musica, che mi tocca, che pizzica i nervi dei miei sogni ed è la materia della mia serenità.

Io non so che cosa la musica sia, né il silenzio, né le parole: ho solo una grande voglia di sentire tutto questo suonare nell'aria.

Zeno

Elementare primordiale: I

Il magico potere del riordino, di Marie Kondo

Questa volta non si tratta di un romanzo e neanche di un saggio, in senso proprio, bensì di un corso: come riordinare il proprio ambiente, sia esso una stanza, un'intera casa oppure un ufficio.

Sin dai primi capitoli ci si rende conto che la praticità dei consigli, nonché la loro disarmante semplicità, nascondono gli aspetti più profondi del nostro essere uomini: quegli aspetti che si specchiano nel modo in cui sono disposte le cose che ci stanno intorno.

Il magico potere del riordino, di Marie Kondo
Il magico potere del riordino,
di Marie Kondo
Primo tra tutti: "riordinando si mette in ordine il passato". Sembra una massima di buon senso, di quelle che sentivamo dalla nonna quando voleva trasmetterci un po' della sua esperienza, ma è molto di più: ho provato personalmente e devo dire che il coinvolgimento emotivo che si prova mettendo ordine seriamente, come il libro prescrive, non può essere descritto, ma solo vissuto.

"Nel momento in cui inizierete a riordinare, la vostra vita verrà resettata". "Trovarsi in una stanza pulita e ordinata ci obbliga a confrontarci con le nostre emozioni e la nostra interiorità".

Marie Kondo ricorda il maestro di scultura, che ci mette di fronte all'esigenza di togliere, per far emergere la figura dalla pietra: "quando riordinate dovete innanzitutto liberarvi delle cose che non vi servono".

E sa stupirci perché ci insegna - nozione inconsueta - a non mettere ordine giorno per giorno, come fosse un gesto di routine: ci sprona invece a riordinare come un'impresa unica, totale, perfetta: "Riordinare deve essere un evento speciale, non una cosa da fare tutti i giorni".

Come ho già accennato, sto facendo mia la visione del mondo di questo libro semplice e potente e non posso che confermare e invitarvi a considerare ciò che Marie Kondo ci sussurra da ogni pagina: "Il riordino produce effetti visibili e soprattutto non mente".

sabato 15 agosto 2015

"I custodi del libro", di Geraldine Brooks

"I custodi del libro" accompagna il lettore nel cuore crudele e innocente dell'uomo, così come lo abbiamo vissuto noi occidentali, insieme ai nostri fratelli d'Oriente, nell'ultimo mezzo millennio.

"Com'era il detto popolare? I cristiani fanno le guerre, i musulmani le case, gli ebrei i quattrini."

"I custodi del libro", di Geraldine Brooks
"I custodi del libro", di Geraldine Brooks
Ho scelto di citare questa frase perché racchiude, secondo me, la pulsazione del romanzo, che intreccia la crudeltà e l'innocenza delle tre religioni monoteiste, disegnando personaggi indimenticabili: credetemi, queste storie vivranno in voi, silenziose e vivide, ben oltre l'aver voltato l'ultima pagina.

Il protagonista è un libro, così tanto amato lungo i suoi cinquecento anni di vita, che trasmuta da cosa ad anima; e se il suo contenuto, l'uscita del popolo ebraico dall'Egitto, è il pretesto storico con il quale è messo al mondo, le pagine dell'Haggadah spiccano un volo più alto e universale.

Infatti l'Haggadah ha una caratteristica singolare per un testo ebraico: possiede delle stupende miniature, che illustrano un momento fondamentale di un popolo la cui religione vieta di raffigurare le cose del mondo.

Spetta ad una esperta restauratrice e tormentata e inespressa donna occidentale di svelare il mistero di quella singolarità, la cui origine, quando la leggerete, vi sorprenderà e commuoverà.

A noi lettori l'autrice dà il privilegio di osservare "dal vivo", come in un microscopio temporale, le storie che l'Haggadah attraversa e che la restauratrice intravede per indizi, mettendoci in un'intrigante posizione in cui sappiamo "di prima mano" ciò su cui la nostra eroina indaga.

E da quel punto di vista privilegiato scorgiamo che, oltre la nebbia della sua più inumana crudeltà, l'uomo sa spiccare il volo avendo come propellente e punto d'appoggio le sue stesse debolezze, superate e trasfigurate nell'atto dell'aver cura.

domenica 9 agosto 2015

"Morte di un uomo felice", di Giorgio Fontana

Le parole estreme del titolo, accostando l'inaccostabile, la morte e l'esser felici, danno la misura dell'ottimo romanzo di Giorgio Fontana: la sintesi di vita ed etica.

Due storie parallele: si svolgono in momenti storici diversi, ma sono accomunate dall'esigenza di un tributo di sangue innocente per muovere in avanti gli impassibili ingranaggi della storia.
"Morte di un uomo felice", di Giorgio Fontana
"Morte di un uomo felice", di Giorgio Fontana

Due storie parallele: il padre, Ernesto Colnaghi, in coraggiosa lotta contro il fascismo, ed il figlio, Giacomo Colnaghi, in lotta contro il terrorismo di fine anni '70.

In entrambe le storie la profonda enorme serenità di quei due uomini, che espongono al rischio stremo la loro vita per un futuro più giusto, qualunque cosa questo significhi: e, per entrambi, non vi è alcuna esitazione.

Un biglietto, estremo segno di amore del padre per il figlio, lega i due Colnaghi come da sempre, al di sopra dei loro destini così prematuramente separati.

Ma torniamo ora al principio del romanzo: "Dunque volevano vendetta". Questa la prima frase, il cui colore scuro adombra tutta la narrazione: la vendetta protagonista.

Ascoltiamo dunque la parole cardine: morte, felice, vendetta.

In ognuno di noi quell'accostamento suscita emozioni, simili o distanti e con lo sfondo di questo paesaggio etico ed emozionale, i due Colnaghi con pacata fermezza ci dicono: l'uomo felice non è spento dalla morte ed è trasparente alla vendetta.

Trasparente alla vendetta e, pur fermo nel senso del bene e del male, aperto alla comprensione.

giovedì 6 agosto 2015

"Apprendista per caso", di Vikas Swarup

"Apprendista per caso" è un tributo alla forza di volontà e alla determinazione che va oltre gli ostacoli insormontabili.

La storia, come spesso capita quando sembra concepita più per far da cornice a dei valori che per se stessa, ha una trama a tratti un po' forzata, ma sempre logica e coerente


"Apprendista per caso", di Vikas Swarup
"Apprendista per caso", di Vikas Swarup
La geografia del romanzo ci porta in India, laddove paiono contare solo le persone veramente ricche e quelle veramente povere: i primi per il potere, i secondi per la rabbia.

In un'India che, pur con tratti propri millenari, assomiglia molto nei valori e nelle abitudini all'Occidente, la protagonista e voce narrante, Sapna, si trova coinvolta in intrighi più grandi di lei.

Una curiosità: nel romanzo si racconta degli scherzi che ci si fa in India nel primo giorno di aprile. Fino ad oggi sono stato inconsciamente convito che il pesce d'aprile fosse un'usanza squisitamente occidentale.

Ma torniamo a Sapna: gli eventi che ci racconta descrivono la sua crescita interiore, forzata da un potente capo d'azienda che ne vuol fare il prossimo amministratore delegato. Si tratta di un percorso travagliato che mette in discussione tutto, dai valori agli affetti più profondi, per sfociare in un finale inatteso, ma in qualche maniera scontato.

Si legge rapidamente "Apprendista per caso", ma ammetto che l'unica attrazione è il mistero che attraversa l'intera narrazione, mentre nessuna emozione mi hanno regalato personaggi ed eventi. Forse non ho saputo entrare in sintonia con il romanzo...

lunedì 3 agosto 2015

“Un treno per l’inferno e altri racconti”, di Giorgio Scerbanenco

Domenica 2 agosto 2015, uno dei rarissimi giorni in cui ebbi l’ispirazione di leggere un quotidiano, acquistai il Sole 24 Ore: l’edicolante mi consegnò il foglio tra le cui pagine trovai, omaggio, un libricino. Si trattava di “Un treno per l’inferno e altri racconti”, di Giorgio Scerbanenco.

La raccolta è composta da tre racconti, due brevissimi ed uno più corposo.

“Un treno per l’inferno e altri racconti”, di Giorgio Scerbanenco
"Un treno per l'inferno e altri racconti",
di Giorgio Scerbanenco
“Un treno per l’inferno” è il primo. Poche pagine per costruire un evento lampo, il senso della stanchezza di esistere di una generazione ed il crimine che vi si insinua, come un falso fratello compagno di sballo.

“L’uomo più solo del mondo” è il secondo, più ampio racconto. La trama è priva di pretese e di originalità, come spesso è la vita quotidiana delle persone, anche nei momenti più suggestivi, nel bene e nel male.

Eppure le parole restituiscono l'umanità degli accadimenti con forza e lucidità.

Al termine della cinquantina di pagine che lo compongono, mi sono stupito per il coinvolgimento cinematografico da cui sono uscito: da lettore come spettatore di un film. Ho avuto la sensazione di uscire dagli occhi e dalla sensibilità del protagonista.


“Morte a pagamento” chiude la raccolta. Come il primo, anche l’ultimo racconto è brevissimo, ma più ammiccante. La trama ha la struttura del giallo: un omicidio da risolvere, un commissario iper-sensibile e un assassino da “dolo eventuale” che al termine ci sbatte candidamente in faccia quanto atroce possa essere l’uomo.

I tre racconti scelti dal Sole 24 Ore sono un'ottima introduzione all'autore: impossibile che non venga voglia di leggere almeno un romanzo di Scerbanenco: l'efficacia con cui il lettore è immediatamente catturato dalla narrazione è particolare, sottile, da conoscere.

domenica 2 agosto 2015

"Il ladro di nebbia", di Lavinia Petti

“Il ladro di nebbia” ci fa scoprire l'aspetto reale che la magia ha nelle nostre vite: “Il mondo è un posto magico per chi sa coglierne i segnali”.

La storia del protagonista, Antonio M. Fonte, si misura con buona parte degli aspetti decisivi della vita: la ricerca del proprio passato, la lotta con quella parte di noi stessi che ci nasconde quello che siamo stati, l'esempio negativo dei genitori nella faticosa altalena amore-sospetto-odio-accettazione.

"Il ladro di nebbia", di Lavinia Petti
"Il ladro di nebbia", di Lavinia Petti
“A volte penso che la nostra vita sia un costante tentativo di ritrovare, da qualche parte, lo sguardo di chi abbiamo amato in gioventù”: la ricerca più impegnativa è quella sulle tracce di ciò che di bello e fondante abbiamo perso.

Ma Antonio affronta anche lo iato tra la dolcezza sognata e la rude tenerezza della donna che ama, pur perdendola ancora prima di conoscerla: perché in lei, Genève Poitier, egli si specchia da subito, dalla notte dei cristalli.

E come nel luccichio anche ingannevole di mille cristalli, attraversiamo la grandiosa invenzione di Tirnaìl, laddove tutto ciò che fu perduto viene raccolto.

Tirnaìl è una terra insidiosa, ma Antonio non è solo perché insieme a Genève, il futuro di fatica e amore, che lo sorregge e lo bacchetta, anche Edgar, pittore che ha perso l'ispirazione, il passato che fecondo accompagna Antonio, gli fa da scudo e consigliere fedele.

Lavinia Petti ha saputo infondere al suo romanzo fantastico e profondamente umano il perfetto respiro, necessario al farsi strada nella mente del lettore del battito cardiaco di una storia.

Terminata l'ultima pagina si ha la straordinaria sensazione di non aver letto un'opera di fantasia, bensì la nostra vita sotto forma di favola: se ne esce arricchiti, quasi fossimo noi lettori ad aver iniziato a ritrovare ciò che, forse senza accorgercene, oppure con dolore, perdemmo.