venerdì 27 marzo 2015

Intrattenimento per vivere come gli dei

Siamo onesti: sprofondare nel divano di fronte alla TV mentre le immagini scorrono è rassicurante. Si tratta di fare un passo in dietro rispetto al fluire degli eventi, uscirne e diventarne spettatori al di sopra dei fatti: puri dei.

Siamo ancora più onesti: il divano e la TV sono un caso concreto, ma soprattutto il simbolo di ogni forma di intrattenimento. L'intrattenimento è la parola chiave, magica, che incanta i più facendo desiderare la vacanza perenne, la visione di un cocktail ghiacciato sorbito pigramente nel sole di una spiaggia tropicale, come massima aspirazione. Lontano da ogni impegno, eppure vigili nell'osservare un mondo interessante verso cui non si abbiano responsabilità e da cui non si possa venir minimamente scalfiti. Ancora una volta, si descrive lo stato in cui, pare, versino gli dei.

Intrattenimento e dei. Pensiamo a quando si dice "stare da dio": ecco, in quel caso il livello di intrattenimento goduto esprime il suo apice, ma ancor di più tradisce, nella consapevolezza della effimera transitorietà di quello stato, il sentimento dell'invidia. Invidia della vita degli dei.

Si dirà che in Occidente non crede più nessuno agli dei, né a quelli dell'antico Olimpo né a quelli più recenti delle varie religioni rivelate. Probabilmente vero è che quanto la parola "dio" accoglie e conserva di rimedio contro il dolore e la morte è quasi completamente perduto nella visione occidentale del mondo.
Eppure la natura umana, religiosa o meno, è da sempre e per sempre sensibilissima a ciò che percepisce come iniqua distribuzione di privilegi, anche se il privilegiato è solo un'ipotesi: suscita comunque invidia.

Questo è il caso degli dei e dell'intrattenimento: l'invidia di un'esperienza totalmente gaudente, priva di sforzo e responsabilità. Ciò che solo la condizione divina pare garantire, dal momento che umanamente parlando si tratta di una idealizzazione.

Come in ogni tensione ad essere ciò che non si è, anche questa invidia degli dei si alimenta con una droga specifica: l'intrattenimento. Sì: droga. Perché dà dipendenza.

Quando il tempo personale si ferma per guardare la TV, o per qualunque fruizione eminentemente passiva, si sperimenta una scintilla di eterno. In quegli attimi tutto luccica divinamente, i problemi infranti in mille schegge innocue, un caldo sospetto di onnipotenza invade l'anima e già si fa strada la malinconia per la fine di tanta pace.

E mentre, al termine del fugace salto nell'Olimpo, già si agogna al prossimo intrattenimento che ammanti di divino, il tempo, quello vero, se ne va senza lasciare traccia costruendo passo dopo passo il nulla che resta.

We are listening

Durante la lunga presentazione di Windows 10 dello scorso gennaio, una frase, detta tra le tante, mi ha fatto riflettere: "we are listening".
Alcuni protagonisti dello sviluppo di Windows 10 illustrano la visione che ha guidato l'ideazione di Windows 10 e che può essere felicemente riassunta con "we are listening": chi hanno ascoltato e stanno ascoltando? Gli utenti.
Non si tratta di una mera trovata pubblicitaria, o almeno non solo, ma di una raccolta sistematica di opinioni, critiche e suggerimenti: in concreto Windows Insider.

Nulla di nuovo? Forse.

Emerge in ogni caso la profonda sana differenza tra l'approccio Microsoft, più umile e dal marketing spesso ingenuo di prodotti migliori di quanto non sia percepito, e l'approccio Apple, dal marketing aggressivo e auto-celebrante di prodotti in rotta sicura verso la lussuosa e dorata uniformità.

E' un bene che il mercato proponga due visioni, ciascuna potentemente radicata e inconciliabile con l'altra.

Apple che avvolge i propri utenti nella propria visione; Microsoft che ascolta: "we are listening". 

domenica 15 marzo 2015

Stasi tecnologica, di idee e atteggiamento "barocco"

Tim Cook orgoglioso, durante il keynote di lunedì scorso (9 marzo 2015), mostrando il nuovo MacBook tra mille sorrisi dichiara: "Quasi non si vede!"
Si tratta di una frase emblematica e problematica. 
Se è vero che la tecnologia migliore non prende spazio per sé ed è trasparente lasciando solo l'evidenza della sua utilità, è anche vero che assottigliare un notebook fino a rendere la tastiera "quasi virtuale" - per quanto ne racconta chi già l'ha provato - pare un esercizio di stile che denuncia più la povertà di idee che l'abilità pur necessaria a produrre il nuovo gioiello tecno.
Difficilmente qualche millimetro di spessore in meno del nuovo MacBook può rappresentare un valore per l'utente; probabilmente qualche etto in meno sarebbe stato molto più utile: un MacBook da mezzo chilo, per esempio, sarebbe stato concretamente di maggior valore. Probabilmente si tratta di un risultato ancora fantascientifico.
Ma la questione centrale, secondo me, è un'altra: far sparire oltre il ragionevole la fisicità dell'hardware è davvero un'evoluzione? 

Sicuramente il nuovo MacBook colpisce a livello emozionale, ma va oltre? Uno spazio molto marginale è stato dedicato alle performance del notebook ed uno spazio enorme è stato consacrato a tuonare quanto sia bello.
Vero: è bello, bellissimo.
Eppure non stiamo parlando di un oggetto ornamentale, ma di una macchina universale dalla quale ci si aspetta potenza di calcolo.
Perché le categorie coinvolte nella presentazione del nuovo MacBook sono quasi esclusivamente emozionali, quasi si trattasse di un profumo o di un prodotto di oreficeria?

Riassumiamo: l'hardware tende a sparire e ciò che resta pare concepito unicamente per emozionare.

Facciamo un passo indietro, al 2007, quando Jobs spiegò che cosa c'era di sbagliato negli smartphone dell'epoca e propose l'iPhone come soluzione di quell'errore: la tastiera fisica. Il punto di partenza era allora concreto: prendeva le mosse da una funzione.
Certo: il primo iPhone era anche bello, ma produrre un oggetto bello, allora, non era considerabile come innovazione.
Non mi si fraintenda: c'è sicuramente innovazione nei processi produttivi e nella componentistica del nuovo sottilissimo MacBook. 
Eppure non c'è innovazione nelle funzioni, non si è individuato un errore o una mancanza a cui si pone rimedio con una soluzione geniale.

Dovremmo quindi pensare che la tecnologia ha raggiunto una sorta di perfezione che può essere al più limata ulteriormente, ma non cambiata dal profondo in meglio?
Trovo più ragionevole pensare che ancora una volta al keynote di lunedì scorso sia mancato quel accadde nel 2007: individuare una esigenza rispetto alla quale le soluzioni attualmente disponibili siano almeno in qualche misura sbagliate.
Oppure effettivamente il modo in cui l'uomo si rapporta alle tecnologie ha raggiunto uno stato di equilibrio...

Ritornando all'iniziale sorriso di Tim Cook sulla difficoltà di vedere il nuovo MacBook tanto è sottile: si tratta di un atteggiamento "barocco".