lunedì 4 maggio 2015

Scrisse domande

Accadde quando una cara amica gli disse: "Ma tu non fai mai bilanci? Come ti invidio!"
Ecco: per caso, con un sorriso, era finita la quieta calma piatta di anni passati in uno stancante riposo.

Passò qualche giorno dal fattaccio, ma nella sua mente ancora aleggiava quella parola, "bilanci... bilanci... bilanci...", ed era più un fastidio che un'idea o un impulso.
Come un dubbio che appena formulato pare ridicolo perché troppo grande, rischioso, così quella parola inquietante gli era rimbalzata contro soffice e potente per dileguarsi quasi subito. Apparentemente. Infatti, nel dileguarsi, era rimasta ben ancorata alla sua mente: potere della contraddizione, motore degli eventi.

Quel fastidio non ne voleva sapere di rivelarsi, da sintomo a malattia con un nome ed un cognome. Nota la malattia, si può almeno sperare in una cura. Invece.
Era come un rap fatto solo della parola "bilanci" e senza musica: solo il battito di un martello sulla testa.

Che fare?

Quando i pensieri sono un vortice di nebbie, è inutile cercare di accendere la luce: ogni raggio viene riflesso e non si vede ad un palmo dal naso.

No, bisogna invece spegnere la luce: fare silenzio e... scrivere.

Il primo passo, in quanto primo, fu quel poco, quasi niente, che proprio per essere "quasi" niente, irrompe nel passato, sgretola il presente e dà vita alla volontà: fu una lista di domande, scritte all'antica, su un foglio di carta con una penna a sfera qualunque.

"Credo nel valore di ciò per cui fatico?"
"Ho un progetto?"
"Inno alla gioia?"

Rilesse le tre domande, si stiracchiò sulla sedia rossa e chiuse gli occhi. Sentiva tensione nei muscoli delle gambe, la lusinga e la minaccia del passato che le prova tutte per non passare.
Eppure il primo passo era fatto e non era più possibile cancellarlo: stava lì, indomito e sorridente sul foglio. Era scritto.