sabato 6 giugno 2015

"Versilia Rock City", di Fabio Genovesi

Si legge velocemente e sentendosi subito a proprio agio nell'incosciente, rude e simpatica immediatezza dei personaggi e delle loro vite. La semplicità avvolge ogni cosa e l'ammanta di verità profonda.

Il protagonista mostra uno sguardo stranito quando pensa alla propria vita: "E comunque. Ho un brutto rapporto io col passato. Mi sa che a un certo punto ci siamo fatti uno sgarbo e non ci parliamo più". 

Tutti i personaggi sono in qualche modo storti rispetto alla normalità, come Roberta, descritta inizialmente così: "C'è chi non può soffrire i cani, i ragni, gli acari, a lei capita con la gente."

E tutti hanno l'atteggiamento serio e incondizionato del bambino che esplora la vita. Certo, esplorando può capitare di ferire, rompere, passare come carri armati su di un prato di violette: è la vita, non è cattiveria, non c'è la pesantezza morale delle "persone per bene".

Avendo a disposizione un avverbio e un aggettivo per descrivere "Versilia Rock City" direi: teneramente spietato. E' spietato pensare: "E poi non è che magari le cose sbagliate ci vogliono, che servono a reggere quelle giuste?" Ma c'è anche una tenerezza infantile e perciò crudele, senza rimpianti.

Fa bene leggere l'immediatezza dei ragionamenti esposti con linguaggio rude, simpaticamente volgare, senza filtri, autentico. E' come tuffarsi in un'infanzia sospesa nel tempo, esplosa intatta nelle vite adulte, piene di crepe, dell'umanità che vive nelle pagine del romanzo.

Si legge velocemente, dicevo in principio, e questa rapidità mima perfettamente la visione del mondo espressa, in cui passato, presente e futuro sono fusi in un unico anelito di riscatto. Il tempo implode, si fa molla che carica il desiderio di rivincita.