domenica 9 agosto 2015

"Morte di un uomo felice", di Giorgio Fontana

Le parole estreme del titolo, accostando l'inaccostabile, la morte e l'esser felici, danno la misura dell'ottimo romanzo di Giorgio Fontana: la sintesi di vita ed etica.

Due storie parallele: si svolgono in momenti storici diversi, ma sono accomunate dall'esigenza di un tributo di sangue innocente per muovere in avanti gli impassibili ingranaggi della storia.
"Morte di un uomo felice", di Giorgio Fontana
"Morte di un uomo felice", di Giorgio Fontana

Due storie parallele: il padre, Ernesto Colnaghi, in coraggiosa lotta contro il fascismo, ed il figlio, Giacomo Colnaghi, in lotta contro il terrorismo di fine anni '70.

In entrambe le storie la profonda enorme serenità di quei due uomini, che espongono al rischio stremo la loro vita per un futuro più giusto, qualunque cosa questo significhi: e, per entrambi, non vi è alcuna esitazione.

Un biglietto, estremo segno di amore del padre per il figlio, lega i due Colnaghi come da sempre, al di sopra dei loro destini così prematuramente separati.

Ma torniamo ora al principio del romanzo: "Dunque volevano vendetta". Questa la prima frase, il cui colore scuro adombra tutta la narrazione: la vendetta protagonista.

Ascoltiamo dunque la parole cardine: morte, felice, vendetta.

In ognuno di noi quell'accostamento suscita emozioni, simili o distanti e con lo sfondo di questo paesaggio etico ed emozionale, i due Colnaghi con pacata fermezza ci dicono: l'uomo felice non è spento dalla morte ed è trasparente alla vendetta.

Trasparente alla vendetta e, pur fermo nel senso del bene e del male, aperto alla comprensione.